Ti è mai capitato che qualcun* ti dicesse “sei la mia droga”?
A me si, più di una volta.
In passato mi è successo di sentirmi lusingata da questa esternazione.
La droga è rock’n’roll, la droga fa divertire, la droga sballa, la droga abbassa le inibizioni la droga… beh, la droga genera dipendenza.
Quindi, è una cosa “buona”, se a dirtelo è una persona che ti piace? No?
In automatico diventi qualcuno di cui non si può fare assolutamente a meno, qualcuno che più ne hai più ne desideri.
Quando l’adolescenza passa e l’ennesimo uomo adulto (o quasi) ti ripete nuovamente che sei una droga, questa frase inizia a suonarti un po’ meno bene.
Ora che sono decisamente cresciuta, mi rendo conto di quanto essere paragonata ad una droga non sia per niente lusinghiero.
La droga può essere molto divertente all’inizio, ma con il tempo ci presenta il conto seguito da pesanti effetti collaterali e dà dipendenza che richiede una successiva disintossicazione.
Oltretutto (spero tu lo sappia), non puoi assumere droga per tutta la vita e con leggerezza, perché rischi di rimanerci.
E tu, sei sicur* di voler essere paragonat* ad una sostanza tossica?
Ritrovarsi in una storia di dipendenza affettiva significa vivere con la paura costante di essere lasciat*, trascinarsi per mesi, a volte anni, con l’idea ossessiva e resistente che l’oggetto del proprio amore, spesso problematico o sfuggente, sia l’unica ragione della vita, mentre quell’amore la vitalità la annulla, la azzera.
Esattamente come la droga, che prima ti inebria e poi ti devasta.
Da un lato però c’è da dire che, è un fatto innegabile, (quasi) tutt* desideriamo amare ed essere amat*.
Chi non ha mai provato quella sensazione di farfalle nello stomaco, di euforia e felicità incomparabili? (Spoiler: probabilmente si trattava di NRE e non di amore.)
Comunque, sicuramente sai di cosa sto parlando e non vorresti mai farne a meno.
Come spiega l’Albert Einstein College of Medicine, in amore come nelle dipendenze, quando la nostra “dose di sentimenti” finisce, le conseguenze sono altrettanto forti: tristezza, abbattimento e depressione.
Sai perché? È una questione di ormoni… già, i soliti cazzo di ormoni.
L’ossitocina: ormone degli abbracci
Questo ormone agisce cambiando le connessioni dei circuiti neurali, secondo gli esperti è proprio l’ossitocina che aiuta a forgiare legami permanenti tra gli amanti dopo la prima ondata di emozione.
Si libera in grandi quantità con l’orgasmo e a piccole dosi con carezze, abbracci e tenendosi per mano.
È una sostanza endogena (prodotta dal corpo) che agisce come una sostanza esogena (droga o farmaco ingerito) e che attiva la produzione di altri neurotrasmettitori, in una cascata di emozioni, non sempre positive.
L’ossitocina infatti è anche l’ormone della gelosia: il cervello dei mammiferi considera ogni perdita come potenziale minaccia attivando la produzione di cortisolo, responsabile della paura.
Ecco perché a volte temi il peggio anche quando non c’è nessun pericolo.
La dopamina: drogaty d’amore
La dopamina è un neuro ormone rilasciato dall’ipotalamo che aumenta la frequenza cardiaca e la pressione del sangue.
Quando ci innamoriamo la dopamina ci fa sentire euforici ed energici, ma quando lo stimolo esterno (droga) o interno (ossitocina) vengono meno, ecco che arrivano gli effetti collaterali veri e propri dell’astinenza!
Assuefazione: tu non mi basti più
Esattamente come avviene a chi fa uso di farmaci o droghe per lunghi periodi di tempo, anche negli innamorati il rilascio di questi ormoni provoca assuefazione.
La stessa dose di prima non basta più e non genera gli stessi effetti, molte persone interpretano questa fase come un momento di crisi o la fine dell’innamoramento, in realtà i recettori neuronali si sono semplicemente abituati alla dose.
Quando dico che l’amore sano e “vero” è una scelta, intendo anche questo: per vivere una relazione non basata sull’interdipendenza, bisogna imparare a “stare nella realtà” una volta finita la “fase cocaina”.
Quando si domanda alle persone cosa significa per loro essere innamorate, moltissime rispondono con la parola “bisogno”.
Bisogno di dimostrazioni d’affetto, bisogno di attenzioni, bisogno di vivere ogni minuto del proprio tempo con il/la partner.
E, quando la relazione finisce, subentra la paura dell’abbandono, di non riuscire a continuare la propria vita senza l’altr*, di sentirsi incomplet* e priv* di “senso”.
“Io senza di te non sono nulla…”
La prima forma di dipendenza che l’essere umano instaura è addirittura intrauterina: il neonato “dipende “ dalla madre per poter mangiare, respirare, vivere e, nei primi anni dell’infanzia, le interazioni madre-figli* sono anche piu’ profonde.
Gli sguardi, il contatto, l’odore, il “sapore” della mamma strutturano un “sistema di attaccamento”che sarà lo schema che l’individuo seguirà, poi, nei suoi futuri scambi relazionali ed affettivi.
(Qui ho parlato di modelli relazionali di attaccamento)
"Per te ho calpestato tutto, ho abbandonato tutto."
Adèle H.
Negli anni settanta, Isabelle Adjani prestò il suo volto al grande regista Francoise Truffaut, per vestire i panni di Adèle H., la sfortunata figlia dello scrittore Victor Hugo, ragazza fragile e “ammalata” d’amore, tanto da finire i suoi giorni tra le mure di un manicomio.
Per l’uomo da lei amato, Adèle arrivò a solcare l’oceano, ma il suo sentimento, così forte (e “insano”), spaventò l’uomo che la rifutò, spingendo la donna nel baratro della pazzia.
Oggi, per la medicina contemporanea, la pazzia di Adèle avrebbe un nome e si chiamerebbe “dipendenza affettiva”.
Le persone che soffrono di dipendenza affettiva, hanno catalizzato tutte le proprie aspettative e la risoluzione di tutti i problemi nel rapporto con l’altr*.
Come nei drogati, la vicinanza e la presenza del/della partner è fondamentale e necessaria: la privazione porta ad astinenza e malessere.
Chi è affett* da dipendenza affettiva annulla le proprie necessità e i propri bisogni, orienta la propria esistenza in funzione dell’altr*.
Strano vero che dichiariamo che l’amore per noi è una sorta di bisogno e poi, invece, per esso siamo capaci di annullare proprio loro, i nostri bisogni?
Ma perché si sviluppano queste dinamiche?
Spesso avviene in seguito al rifiuto.
Le persone dipendenti mettono in atto un copione già vissuto: vogliono, pretendono di farsi amare da chi, invece, proprio non vuole farlo.
Cerchiamo l’amore in chi non è disposto a darcene nemmeno una briciola.
Ma allora forse Tei sarebbe più giusto parlare di dipendenza dal rifiuto, piuttosto che dall’affetto, no?
Eh già, proprio così.
E quindi?
Quindi sei ancora sicur* di voler essere una droga con la quale prima o poi bisogna per forza smettere?
Non preferiresti essere carboidrato, proteina, vitamina?…
Io voglio un amore carboidrato.
Un amore dal quale posso attingere sempre, che mi dona energie a lungo termine, mi permette di stare in piedi sulle mie gambe, diventare forte, crescere, dona sapore alla mia vita ogni giorno e fa funzionare perfettamente il mio cervello senza annebbiarlo mai.