La conseguenza principale dell’auto oggettificazione è che la persona può essere ipercritica nei confronti del proprio corpo e/o rispetto a parti di esso.
Dall’avvento dei social media, abbiamo incolpato innumerevoli donne per il loro uso indiscriminato di filtri, accusandole di soddisfare standard di bellezza irrealistici, di perpetuare ideali sessisti e di ispirare problemi di immagine corporea tra le loro follower.
In poche parole, abbiamo dichiarato antifemminista la dipendenza delle donne dai filtri di bellezza e, a volte, anche dal trucco.
In questo processo, ciò che forse ci sfugge è che le donne che si affidano ai filtri possono essere esse stesse vittime dell’auto oggettificazione, percependo se stesse, come detto sopra, prima come un oggetto fisico e poi come un essere umano.
Pubblicato su Psychology of Women Quarterly, un nuovo studio ha evidenziato come presentare un’immagine di se stesse strategicamente curata sui social media – modificando le loro immagini per apparire esteticamente più piacenti rispetto a canoni di bellezza imposti e “normati” – può rafforzare la tendenza delle donne ad auto oggettificarsi.
L’auto oggettificazione può creare problemi per il benessere mentale ed emotivo.
Alcuni esempi includono l’essere costantemente ossessionat* da ciò che gli altri pensano di noi anche quando non sono presenti e preoccuparsi così tanto dell’aspetto del nostro corpo da sconvolgere negativamente la nostra vita quotidiana.
È importante comunque notare che tutt* sono colpit* dall’oggettificazione sessuale, ma le donne lo sono in misura maggiore e con motivazioni leggermente diverse.
Le persone socializzate come donne sono condizionate nel vedere il proprio corpo come gli altri lo vedono a causa della loro esposizione all’oggettificazione sessuale sociale e ambientale che esiste nella nostra cultura.
Le “donne” generalmente sperimentano tre tipi di esposizioni all’oggettificazione sessuale:
- Commenti diretti da parte di chi le circonda, inclusi commenti non richiesti su come appaiono e consigli su come migliorare il proprio aspetto.
- Comunicazione indiretta da parte di coloro che le circondano, come ascoltare una conversazione su come qualcun* vede il corpo delle donne o far parte di un gruppo in cui le persone parlano di come cambiare il proprio corpo per apparire in un certo modo.
- Contenuti che oggettificano il corpo di una donna come immagini, video, audio e annunci in cui il volto della modella non viene nemmeno mostrato.
Di conseguenza, le donne vedono i loro corpi come oggetti, legano la loro autostima al loro aspetto fisico, sviluppano aspettative su come dovrebbero apparire in base a come gli altri le percepiscono e diventano eccessivamente giudicanti nei confronti di se stesse.
Si Tei, tutto chiaro (o quasi)… ma che è sto “male gaze” di cui parti nel titolo?
Il male gaze (tradotto in italiano come “sguardo maschile”) descrive un modo di ritrarre e guardare le donne che dà potere agli uomini mentre sessualizza e sminuisce le persone di genere femminile.
Dalla prima adolescenza in poi, siamo biologicamente spint* a guardarci e valutarci a vicenda come potenziali partner (sessuali o romantici), ma il male gaze distorce questo bisogno naturale, trasformando le donne in oggetti passivi da possedere e utilizzare come oggetti di scena.
Esempio pratico ed estremamente basic: quando gli uomini etero parlano di sesso tra di loro, parlano di “figa” e non di “donne”.
Oggettificano le persone di genere femminile riducendole ad un organo sessuale.
“Le parole sono importanti” diceva Nanni Moretti e “le parole contribuiscono a forgiare la società dove ci troviamo a vivere”, dico io.
Questo concetto non riguarda solo il modo in cui le donne (e i loro corpi) vengono utilizzati per soddisfare la fantasia maschile, ma anche il modo in cui questo sguardo, sia esso diretto a loro o ad altr*, fa sentire le donne riguardo a se stesse.
Il termine “male gaze” è stato reso popolare per la prima volta in relazione alla rappresentazione di personaggi femminili nei film come oggetti del desiderio maschile inattivi, spesso apertamente sessualizzati.
Tuttavia, l’influenza dello sguardo maschile non si limita al modo in cui le donne e le ragazze vengono rappresentate nei film.
Naturalmente, l’influenza del male gaze penetra nell’autopercezione e nell’autostima femminile.
Riguarda tanto l’impatto di vedere altre donne relegate a questi ruoli secondari quanto il modo in cui le donne sono condizionate a ricoprirli nella vita reale.
La pressione a conformarsi a questa visione patriarcale (o semplicemente ad accettarla o assecondarla) e a sopportare di essere viste in questo modo, modella il modo in cui le donne pensano al proprio corpo, alle proprie capacità e al posto che dovrebbero occupare nel mondo o che dovrebbero occupare le altre donne come loro.
In sostanza, il male gaze scoraggia l’empowerment femminile, mentre incoraggia l’auto oggettificazione.
Tei, come faccio a capire se effettivamente mi sto auto oggettificando?
Segni di auto oggettificazione
Ci sono alcune situazioni in cui può essere utile vederti come una terza persona, come voler fare una buona impressione in un colloquio di lavoro.
In questa specifica circostanza, i comportamenti di auto oggettificazione vengono eseguiti con moderazione e sono normali e sani.
Tuttavia, quando i comportamenti di auto oggettificazione diventano eccessivi, possono essere dannosi e influenzare negativamente altre aree della tua vita.
Alcuni segni in cui l’auto oggettificazione diventa malsana includono:
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- Guardarsi sempre allo specchio: è naturale intravedere te stess* quando passi davanti a uno specchio; tuttavia, diventa dannoso quando trascorri una parte significativa della giornata fissando la tua immagine. Quando ti guardi allo specchio, senti un profondo bisogno di correggere tutti i tuoi difetti fisici e non riesci a distogliere lo sguardo da essi. Il tempo che trascorri davanti allo specchio ti fa arrivare in ritardo agli eventi e ti impedisce di portare a termine i programmi.
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- Scattare troppi selfie: scattare una foto ogni tanto per aggiornare il profilo è ok, ma farlo più volte al giorno o passare ore a perfezionare un selfie è problematico. Un segno di auto oggettificazione è essere ossessionat* dal modo in cui si appare nelle foto.
Ricercare di continuo la validazione altrui può distruggere la tua autostima. Il tuo valore è quindi determinato da fattori esterni come il numero di “Like”, il livello di coinvolgimento e i tipi di commenti ricevuti sotto al selfie che hai postato.
- Scattare troppi selfie: scattare una foto ogni tanto per aggiornare il profilo è ok, ma farlo più volte al giorno o passare ore a perfezionare un selfie è problematico. Un segno di auto oggettificazione è essere ossessionat* dal modo in cui si appare nelle foto.
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- Confrontarsi compulsivamente con le altre persone: i confronti possono avvenire sia offline che online. Il comportamento auto oggettificante consiste nel confrontare il tuo aspetto con l’aspetto dei tuoi amici, estranei, colleghi/che e familiari. È dire a te stess* che qualcun* è migliore o peggiore di te basandosi solo sul suo aspetto fisico. (Spoiler: nella vita ci sarà sempre qualcun* migliore o peggiore di te in qualsiasi ambito).
Nell’era dei social media, può essere difficile evitare di essere esposti alle aspettative di bellezza della società.
Dagli influencer alle pubblicità beauty, sei soggett* ogni giorno a migliaia di immagini modificate e filtrate di volti e corpi.
Se segui principalmente account che pubblicano questo tipo di immagini, le guardi eccessivamente, ti esamini attentamente e ti senti inadeguat*, questo è un malsano segno di auto oggettificazione.
Impatto dell’auto oggettificazione
Perché, sebbene l’auto oggettificazione sia riscontrata in tutti i generi, è più diffusa tra le donne?
Due fonti di auto oggettificazione a cui le persone socializzate come donne sono soggette, includono le esperienze personali dirette che si verificano durante la loro vita quotidiana e gli standard di bellezza rappresentati attraverso i media.
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- Discorsi sui corpi grassi: i discorsi sui corpi grassi si verificano quando le donne fanno commenti sulla forma, sul peso, sulle dimensioni, sulla dieta, sulle abitudini relative all’esercizio fisico e su qualsiasi cosa relativa al loro aspetto che promuova l’autodegradazione.
È stato dimostrato che le donne che parlano di se stesse in questo modo hanno maggiori probabilità di dover affrontare problemi legati alla bassa autostima, insoddisfazione corporea, obesità, esercizio fisico eccessivo e compulsivo e pratiche malsane di perdita di peso come diete pericolose, alimentazione disordinata e digiuno improvvisato.
- Discorsi sui corpi grassi: i discorsi sui corpi grassi si verificano quando le donne fanno commenti sulla forma, sul peso, sulle dimensioni, sulla dieta, sulle abitudini relative all’esercizio fisico e su qualsiasi cosa relativa al loro aspetto che promuova l’autodegradazione.
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- I media: come ho già scritto in precedenza, i media promuovono un unico tipo di corpo femminile ideale: quello magro.
L’auto oggettificazione fa sì che le donne facciano fatica ad accettare il proprio corpo così com’è e siano costantemente ossessionate dal proprio aspetto fisico.
È stato dimostrato che è associato ad un aumento dei sentimenti di vergogna, aumento dei disturbi legati all’ansia, diminuzione della consapevolezza degli stati corporei interni, disfunzioni sessuale (eh già… hai letto bene), alimentazione disordinata e depressione.
Ok Tei, ma una buona notizia c’è?
Forse… intanto provo a darti qualche piccolo suggerimento per tentare di ridurre al minimo l’auto oggettificazione.
Può essere difficile sentirsi bene con il proprio corpo quando lo si critica costantemente.
Però, non sei un oggetto.
Sei più di un bel viso o un corpo “in forma”.
Sei un essere umano con una personalità, esperienze, speranze, sogni e desideri.
Quindi, ecco alcuni miei personali modi per ridurre al minimo i comportamenti auto oggettificanti:
- Diventa consapevole del tuo dialogo interiore negativo: potresti rimanere sorpres* dalla frequenza con cui parli negativamente di te stess*. La prossima volta che lo fai, interrompi questo schema di pensiero raccontandoti qualcosa di positivo su di te. Quando diventi consapevole del tuo dialogo interiore negativo, è più facile cambiare la tua abitudine.
- Prova a tenere un diario: quando ti ritrovi a praticare comportamenti di auto oggettificazione, scrivi i tuoi pensieri e sentimenti, l’ora e il giorno in cui è successo e cosa stava succedendo prima che iniziassi a farlo. L’inserimento nel diario può essere un modo efficace per identificare modelli comportamentali, comprendere meglio i trigger (fattori scatenanti), gestire le emozioni difficili e può aiutarti a trovare modi per affrontarle magari parlandone in terapia.
- Limita l’esposizione mediatica non realistica: esamina gli account che segui sui social media e smetti di seguire quelli che promuovono standard di bellezza non realistici e oggettificano i corpi. Meno vedi queste immagini, meno è probabile che ti sentirai spint* a confrontarti con loro.
- Concentrati su ciò che il tuo corpo fa per te: vivi e respiri grazie al tuo corpo. Ogni volta che respiri, i tuoi polmoni si riempiono e ossigenano il sangue. Il tuo cuore pompa il sangue ai tuoi muscoli. I tuoi muscoli ti permettono di muoverti. Il tuo corpo è uno straordinario sistema interconnesso che lavora per te ogni secondo di ogni giorno.
Invece di preoccuparti di come appare, concentrati su come ti senti e su cosa fa per te, e sii gentile con esso.
“L’esposizione prolungata all’oggettificazione sessuale può anche contribuire a traumi insidiosi che sono contrassegnati da sintomi di trauma psicologico che si verificano a causa dell’esposizione permanente a microaggressioni, anziché a un grande trauma”, si legge in un articolo della New York University.
“L’oggettificazione costante crea un flusso continuo di esperienze che provocano ansia, richiedendo alle donne di mantenere almeno parte della concentrazione sul proprio aspetto fisico e sulla propria sicurezza in ogni momento, al fine di anticipare meglio le percezioni e le azioni degli altri… diminuendo il picco degli stati motivazionali delle donne… [e] la riduzione dei tassi di produttività e di godimento generale della vita”.
Ma quindi Tei, l’auto oggettificazione è il male, non c’è modo che possa assumere un significato positivo all’interno della nostra esistenza?
L’auto oggettificazione, allevata e nutrita da una vita di oggettificazione esterna, diventa il garante dell’oppressione basata sul genere, impedendo alle persone socializzate come donne di spendere le loro energie disponibili per la loro carriera, o qualsiasi altro compito, intrappolandole in un sistema che non hanno scelto: un circolo vizioso di preoccupazione per il proprio aspetto.
Anche di questo (purtroppo) la colpa è attribuita direttamente alle donne stesse, che la società definisce (infatti) spesso piuttosto vanitose.
L’auto oggettificazione può però, senza dubbio, essere uno strumento per rivendicare il libero arbitrio sul proprio corpo, dando anche potere a coloro che sono stat* esclus* dagli standard normativi di bellezza.
Tuttavia, quando questa oggettificazione si basa su ideali interiorizzati di sessismo, misoginia e male gaze, è impossibile non notare, nella società in gran parte patriarcale in cui viviamo, che spesso fa più male che bene.
Cosa ho concluso con questa mia personale navigazione nell’auto oggettificazione (in particolare femminile)?
In realtà assolutamente nulla, se non il fatto che mi piacerebbe riuscire ad oggettificarmi (realmente) liberamente senza aver interiorizzato il male gaze e che l’auto oggettificazione non dovrebbe essere qualcosa di negativo a prescindere.
Ma come si fa a non renderlo tale?
Se hai una risposta, scrivimi…