Ma andiamo indietro nel tempo, molto indietro.
I miei genitori sono nati entrambi alla fine degli anni ’50 e hanno vissuto appieno gli anni ’70.
Il periodo della liberazione sessuale, in cui tutto ciò che era stato detto sul sesso fino a quel momento crolla per lasciare spazio alla pura esplorazione di sé, la non necessaria sessualizzazione della nudità, la libertà di scelta, la rivendicazione del proprio corpo da parte delle prime femministe.
Tutto molto bello e necessario, ma gli stereotipi sono davvero duri a morire e a volte resistono anche alla rivoluzione più tosta.
Mio padre è nato a Messina, in Sicilia, nel 1956. Per poi emigrare nel Nord Italia, con tutta la famiglia quando aveva appena 6 anni.
Al Nord, nei primi anni ’70, conobbe mia madre, proveniente invece da una famiglia della media borghesia lombarda.
La loro storia, e anche la mia, sarebbe ancora molto lunga e interessante da raccontare, ma te la racconto magari un’altra volta.
I miei genitori provenivano da due famiglie tanto diverse quanto simili per quanto riguarda il tipo di educazione patriarcale che gli era stata inculcata.
Tante cose se le sono portate dietro, pur avendo fatto le loro rivoluzioni.
Quando sono “diventata signorina” (termine che odio, ma che userò lo stesso), l’atteggiamento di mio padre nei miei confronti è cambiato drasticamente.
E poi dicono che sono i figli a cambiare in adolescenza…
Un giorno è successo che lui ha iniziato a guardarmi attraverso gli occhi degli altri uomini adulti, ed è lì, che sono cominciate le raccomandazioni patriarcali:
-Non vestirti mai troppo aderente che non sta bene attirare gli sguardi degli uomini
-Guarda che quel vestito è trasparente, ti si vedono gli slip (prima di allora le aveva sempre
chiamate mutandine)
-Se un uomo per strada ti fa un complimento, tu cambia strada e non guardarlo
-Siediti composta in pubblico
-Quando fai i castelli di sabbia smettila di metterti a carponi
Era in buona fede? Si.
Ha fatto dei danni anche in buona fede? Si.
ATTENZIONE. Questo articolo non vuole assolutamente essere un processo contro mio padre.
Io e lui abbiamo uno splendido e apertissimo rapporto oggi come oggi.
Anche mia madre diceva la sua, ma da figlia femmina ho sempre subito in modo più pesante lo sguardo paterno che non quello materno.
Il giorno che ebbi le mie prime mestruazioni mi sentivo male fisicamente, ma soprattutto a disagio psicologicamente.
Forse non ero tanto felice di “diventare signorina/donna”, per il significato che fino a quel momento avevo dato a quel termine.
I miei genitori mi concessero di rimanere a casa da scuola, dato il mio malessere fisico.
Era quasi estate, faceva caldo e, passata la mattinata, decisero di andare a pranzo fuori tutti insieme.
Io stavo meglio e mi convinsi ad andare con loro.
Era da una settimana che imploravo mia madre di prestarmi quel suo bellissimo vestito blu a fiori che tanto mi piaceva, finalmente mi disse di si.
Quando mio padre mi vide sulla porta di casa pronta per uscire, storse un po’ il naso e mi fece notare che il vestito era molto trasparente.
Io non ero più una bambina (ahimè), ora avevo la “colpa” di essere diventata donna e certe cose non potevo più permettermele.
Forse, una settimana prima non mi avrebbe detto nulla… chi lo sa.
Diventare donna a volte ti viene venduto come un onore, a volte quasi come una colpa.
Un peccato originale che ti si appiccica addosso peggio della pelle del sedile della macchina, sulle gambe nude in estate.
Ma torniamo a me.
Mi impuntai (sono sempre stata testarda), e uscii lo stesso vestita così.
Arrivammo in piazza a Urbino, c’era un bel sole e una brezza leggera.
Mi allontanai dai miei per buttare una cartaccia in un bidone, un signore, appoggiato ad un muro poco più in là, fischiando mi disse “belle mutandine signorina”.
Dentro di me mi sentii morire.
Quel vestito non potevo più permettermelo. Aveva ragione mio padre?
Anche lui aveva visto la scena, dopo aver lanciato uno sguardo intimidatorio al signore del tipo “quella è roba mia”, mi aveva detto: “vedi cosa succede ad indossare vestiti trasparenti? Non devi provocare gli uomini Tei, che poi loro non si sanno trattenere”.